Il Prof. Eugenio Allegretti mi chiamò in vicepresidenza, era il lontano anno ’89, “professoressa, se vuole riavvicinarsi a casa, deve chiedere ora il passaggio in Succursale” mi disse. Da allora l’Istituto di via Battistini è diventato la mia sede di lavoro.
Dividevamo l’edificio con le restanti classi della scuola media; a noi avevano riservato le aule al primo e al secondo piano. Entravamo dalla porta di dietro, oggi di sicurezza, e salivamo lungo la scala separata dal resto dei pianerottoli da armadietti metallici. Di fronte, per dare un tono di allegria che risolevasse un po’ lo spirito da quella situazione sciatta e provvisoria, li avevo rivestiti di fotocopie che riproducevano Einstein mentre faceva la linguaccia. Quella faccia insolitamente spiritosa mi sembrava di buon augurio per un Liceo Scientifico. E devo dire che da allora il Liceo ha continuato a crescere sempre di più, forse perché, proprio per questa sua nascita particolare, ha sviluppato un carattere combattivo ed ironico, che gli ha permesso di adattarsi a situazioni in continua evoluzione, spesso non facili.
Allora, a volte, nel bel mezzo di una lezione, la porta si apriva ed entrava una studentessa della scuola media che aveva dei problemi: non era facile arginare la sua irruenta voglia di stare al centro dell’attenzione perché era una ragazza alta e robusta. Ogni anno la situazione ambientale cambiava e questo è uno dei caratteri rimasti da allora immutati. Questa precarietà dello schema ambientale sembra fortificare l’impronta creativa della scuola stessa.
Per rendere simbolica l’ascesa al sapere, dipinsi, con i ragazzi, il sotto della prima rampa con le scritte del primo Manifesto Surrealista; volevo incitarli a sognare e a non aver paura di rompere schemi formalistici per raggiungere una vera curiosità culturale.
Come base a quel monumento, in un’aiola non adatta alle piante perché priva di luce, ricettacolo inoltre di polvere e di sporcizia, misi un water di porcellana di evocazione dadaista, lattine, un vecchio televisore e varie cose, ispirate sostanzialmente alla società dei consumi e alla sua difficoltà di smaltire l’immondizia.
Nell’anno scolastico 1997-1998, quando la terza B si chiamava L, Alessio ed io lavoravamo nella piccola stanzetta, a sinistra della ripida rampa che conduce al primo piano, con un unico computer per organizzare le prime locandine delle lezioni-concerto di musica lirica che si svolgevano nel nostro liceo. Allora Alessio era uno studente di quella classe, appassionato di informatica e con una gran voglia di collaborare. Sono passati diversi anni e con il suo aiuto, oggi, è stato predisposto un laboratorio informatico funzionante. E soprattutto abbiamo realizzato quel progetto “scuola di tutor” che ci permette di seguire alcuni nostri ragazzi nella loro formazione universitaria e di essere nel contempo più vicini ai nostri giovani studenti. Oggi Alessio è diventato il “Mitico Alessio Silva” e gli siamo molto grati e rimarrà per sempre nel cuore della scuola.
A mano a mano che la scuola media diminuiva di classi, noi ci ingrandivamo e nel giro di tre anni occupammo tutto l’edificio. Avevamo grandi spazi e pochi mezzi da utilizzare, ma lo facevamo cercando sempre di coniugare lo studio con la creatività.
Nel 1992 con la Provincia di Roma – Assessorato alla Pubblica istruzione – e l’O.N.G. Progetto Sviluppo CGIL Lazio, partecipammo al progetto “Solidarietà senza confini-MENINOS DE RUA; PERCHE’”, fu per quell’occasione che dipingemmo il pannello che è ora sullo sfondo dell’Aula Magna e fu in quell’ocasione che incontrammo Jeorge Amado.
Inizialmente la nostra scuola si chiamò semplicemente Succursale del Liceo M. Malpighi di via Battistini, poi diventando autonoma nel 2000-2001, quando ormai aveva assunto un ruolo importante sul territorio come punto di riferimento culturale; il nuovo Preside, Prof. Alberto Attenni, decise di aprire un’inchiesta con un sondaggio tra i rappresentanti scolastici per decidere il nome dell’Istituto. Ma il fatto più sorprendente fu che oggi il liceo si chiama Evangelista Torricelli per un gioco infantile, per la pietà di una bambina.
E si, andò proprio così: appese all’ingresso c’erano le liste con i nomi proposti segnalati, a fianco, da crocette di gradimento; un pomeriggio la figlia di Cinzia, una collaboratrice scolastica, una bambinetta di sei o sette anni, vedendo poche crocette a fianco del nome Torricelli, ne aggiunse svariate. “Ce n’erano poche e ne ho messe più che agli altri” confessò alla mamma, che non accorgendosi subito del fatto, non ebbe poi il coraggio di ammetterlo pubblicamente. Questo suo nome ricevuto così per caso, ci ha permesso di riscoprire un personaggio scientifico in tutta la sua personalità.
Oggi, come vecchi insegnanti siamo rimasti pochi ma ciò che ci lega è una grande nostalgia di quei tempi, forse perché eravamo più giovani?
Alla scuola, con affetto,
Prof.ssa Silvana Angelitti
(A.S. 2003/04)